Agar e Ismaele e Sogno di Giacobbe

Agar e Ismaele 
1737-1739 
olio su tela, cm 75 x 102 
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 105; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 105; inv. Diana 1802: 42; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 68; scheda OA: 15/00409980 

Sogno di Giacobbe 
1737-1739 
olio su tela, cm 84,5 x 65,5 
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 106; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 106; inv. Diana 1802: 79; inv. La Volpe, Guerra 1845: 79; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 70; scheda OA: 15/00409979 

Questi bozzetti sono da riferire a due dipinti che facevano parte della decorazione della Cappella di San Michele Arcangelo, la prima della navata sinistra, nella chiesa dell’Abbazia di Montecassino, distrutta nel 1944 sotto i bombardamenti aerei degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale, e quindi riedificata (per la ricostruzione, ‘dov’era, com’era’: Breccia Fratadocchi 2014). Il Sogno di Giacobbe è relativo all’affresco già nella piccola volta, mentre l’Agar e Ismaele al dipinto già nella lunetta della parete in cornu Epistulae. Prima del disastro bellico il nesso fu stabilito – sia pur con qualche incertezza – da Giuseppe Ceci (1933c); dopodiché lo studio si è basato (Causa 1970) ed eventualmente si approfondisce sulle fonti periegetico-letterarie ed erudite, in primis sulle descrizioni del cenobio benedettino – dalla metà del XVIII secolo alla vigilia dell’ultimo conflitto – e sulle raccolte di documenti pertinenti al suo insigne archivio (per cui primeggiano i tomi di Andrea Caravita, editi nel 1869-1870; cfr. pure Fiangieri 1883-1891). Perduti gli originali di Montecassino, e non emerse al momento specifiche fotografie prebelliche, non possiamo fare verifiche, ma il legame tra i bozzetti al Pio Monte e gli spazi abbaziali or ricordati è la pista più affermata da percorrere per il nostro studio. 

Dagli inventari sette e ottocenteschi dei quadri al Pio Monte, intanto, si sa che originariamente all’Ente era pervenuto anche il terzo bozzetto del contributo demuriano a quella cappella, relativo all’altra lunetta e raffigurante la Lotta di Giacobbe con l’angelo, tela contrassegnata col numero 44 in occasione dell’inventario Diana (1802), poi alienata nel 1845 (Gazzara 2008b) e al momento non rintracciata. 

La decorazione (in specie pittorica) d’età barocca nell’Abbazia di Montecassino costituiva un capitolo rilevantissimo della produzione napoletana tra Sei e Settecento, avendo coinvolto – oltre al nostro autore – i più affermati nomi, da Luca Giordano a Paolo de Matteis, da Francesco Solimena a Sebastiano Conca, a Paolo de Majo (un quadro d’assieme è tracciato da Enggass 1987; per nuovi approfondimenti e materiali cfr. Lofano 2018b). De Mura iniziò a lavorarvi dal 1731, ingaggiato dai monaci ormai a giorno della sua reputazione crescente, i quali “vollero che dal suo pennello fussero adornati tutti que’ sacri luoghi, sì della chiesa che del monistero, che non eran dipinti” (De Dominici 1742-1745; cfr. pure D. Campanelli in De Dominici 1742-1745 [2017]). In poco meno di un decennio da allora, nell’Abbazia o da Napoli, l’artista licenziò un gran numero di opere, sia fisse che mobili, alcune delle quali per il Capitolo (un resoconto è in Pavone 1997): una parte significativa di tale attività ci è ‘restituita’ (oltre che da qualche fotografia ante 1944: cfr. per esempio Rusconi 1929) primariamente dai bozzetti conservati in musei, tra cui quello dell’Abbazia stessa, e in collezioni private (i meglio conosciuti alla critica sono i tre pezzi nella raccolta Molinari Pradelli a Marano di Castenaso: in sintesi cfr. Enggass 1979; A. Brogi in Barocco italiano 1995; e da ultimo G. Porzio in Le stanze delle muse 2014). Ma non è questa scheda – evidentemente – la sede adatta a ripercorrere la complessiva, diramata vicenda di De Mura a Montecassino. 

Il 10 giugno 1737 – più in particolare – è la data della scrittura in cui De Mura s’impegnava a eseguire entro due anni una serie di pitture per svariati spazi della chiesa abbaziale, tra cui l’intera Cappella di San Gregorio Magno e parte delle cappelle di San Michele, appunto, della Pietà e dell’Assunta: negli ultimi tre casi si trattava di completare la decorazione coi dipinti nelle volte e nelle lunette. Per l’opera nella Cappella di San Michele (inclusa un’altra lunetta, quella sull’ingresso minore della chiesa e contiguo alla stessa cappella) il compenso era stabilito in 500 ducati (Caravita 1869-1870). Il lavoro risale al tempo dell’abate Ildefonso del Verme, già committente di De Mura per gli affreschi, iniziati nel 1736, nella volta della chiesa del monastero dei Santi Severino e Sossio a Napoli (cfr. cat. III.1.96-104), che apparteneva allo stesso ordine benedettino della congregazione cassinese, e di cui il religioso era stato a capo appena prima di approdare al governo di Montecassino. Comunque tra i due già esistevano contatti: lo testimonia il ben noto ritratto di Del Verme, tuttora conservato nell’Abbazia ed eseguito da De Mura nel 1735, probabilmente quando l’effigiato era stato eletto presidente generale di quella congregazione (Russo 2017). 

All’incarico stabilito nell’accordo del giugno del 1737 è stata recentemente connessa una lettera, del 14 luglio di quell’anno, inviata da Montecassino dall’abate Del Verme a De Mura a Napoli: in essa, tra l’altro, si fa riferimento al ruolo del “padre archivista”, cioè del responsabile dell’archivio dell’Abbazia, nella preparazione dei programmi iconografici, ai quali il pittore doveva attenersi nell’elaborare i bozzetti, le “macchie” (Lofano 2018b). Tale ruolo in quel momento era ricoperto da Giuseppe Maria Franchini (cfr. Dell’Omo 1999), succeduto nell’ufficio al famoso Erasmo Gattola, l’erudito monaco benedettino autore della Historia Abbatiae Cassinensis (1733), morto il 1° maggio 1734, e il cui impegno nel predisporre – con lo studio dei documenti, delle fonti agiografiche e di quant’altro – le ‘storie’ da far dipingere agli artisti fu peraltro indiscutibile. Ora, i Giornali manoscritti dell’Abbazia curati dal Franchini si sono rivelati una fonte preziosa relativamente a una buona fetta dell’operato di De Mura in quel contesto (cfr. Russo 2017). Nel caso specifico, per esempio, l’archivista, dando notizia del ritorno del pittore a Napoli il 31 gennaio 1739, ricorda che egli era giunto a San Germano (l’attuale Cassino) sin dai primi dell’ottobre scorso, e che si era occupato soprattutto della Cappella di San Gregorio; e prosegue così: “Ha parimenti dipinto il cupolino della Cappella di San Micchel’Arcangelo […]. Li due semicircoli non l’ha potuti compire, né principiare, onde li farà in Napoli ad oglio”. 

La cappella dedicata all’Arcangelo aveva all’altare una pala di Luca Giordano con San Michele che abbatte gli angeli ribelli (oggi nota da una riproduzione fotografica prebellica di recente pubblicata: Di Furia 2019a) e, alle pareti, dipinti di Nicola Malinconico (il Profeta Daniele ammaestrato dall’angelo sui misteri dell’Incarnazione, dal lato del Vangelo) e di Paolo de Matteis (Tobia guarito dall’angelo, all’opposto). De Mura vi dipinse nella volta il Sogno di Giacobbe (con Putti agli angoli), e per le lunette l’Agar e Ismaele sopra il dipinto di Malinconico e la Lotta di Giacobbe con l’angelo sopra quello di De Matteis. Nell’analitica guida dell’abbazia edita nel 1751 (anonima ma spettante a Flavio della Marra, che ne fece un’altra edizione nel 1775: Dell’Omo 1999), l’immagine della lunetta che qui c’interessa è esposta come “il fatto di Agar, che fuggita dalla casa di Abramo, perché maltrattata da Sara, incontra l’angiolo nel deserto vicino ad una fonte, che la consola e le comanda di ritornarsene donde erasi partita, e di umiliarsi a Sara sua padrona. E perché Agar era incinta, partorisce ad Abramo il figliolo Ismaele”; un brano in cui tipicamente l’estensore, sulla scorta della raffigurazione, ne sunteggia il racconto vetero-testamentario, quasi a mo’ di supplemento d’iconografia. La scena della volta, poi, è descritta come “la misteriosa scala che in sogno vide Giacobbe, per cui gli angeli salivano e scendevano dal Cielo” (Della Marra 1751; Della Marra 1775; cfr. pure Guillaume 1879). 

De Mura in Agar e Ismaele sceglie di rarefare la scena, conferendo a essa un’eleganza disegnata e sfronda, per una sorta di sottile poesia d’Arcadia: un trio di figure in circolo, con gesti accorti, in un paesaggio d’autunno. L’allettante prototipo del giovane Solimena, ancor cortonesco e giordanesco, rappresentato dal famoso quadro oggi d’Intesa Sanpaolo a Napoli è ormai molto lontano nello spirito. Per l’angelo, invece, in cui si è voluto scorgere un interesse per la scultura (Rizzo 1978), De Mura sembra rielaborare un modello solimenesco di più dichiarato orientamento ‘classico’, noto da un quadro pubblicato da Mimma Pasculli Ferrara (1978-1979) in una collezione privata di Lecce (cfr. pure la versione schedata da N. Spinosa in Francesco Solimena 2018). Quanto alla fortuna dell’invenzione, si segnala l’esistenza di una replica, presumibilmente di bottega, passata a un’asta Wannenes a Genova (26 maggio 2015, lotto 159; sull’argomento si veda pure Ferrara 2006). Nel Sogno di Giacobbe, pensato per essere visto di sotto in su, la pittura è meno definita, quasi abbreviata ed evanescente nel tratto onirico della scena della scala, in un’atmosfera vaporosa, evidenziando modi che sembrano non estranei a un recupero giordanesco (cfr. Rizzo 1978). Notevole, anche qui, l’interpretazione di un possibile modello di Solimena, in un quadro di collezione privata a Napoli (lo si veda con N. Spinosa in Francesco Solimena 2018). Recuperando un’indicazione di Ferdinando Bologna (1958), Nicola Spinosa (1986; ma già in Causa 1970, tramite suggerimento orale) ha proposto in alternativa che il bozzetto col Sogno di Giacobbe possa riferirsi, più che alla cappella cassinese di cui si è detto, al dipinto nella volta, peraltro rovinato, della sacrestia dei Santi Giovanni e Teresa all’Arco Mirelli a Napoli; e ciò per ragioni essenzialmente stilistiche, che consiglierebbero di datare l’opera ad anni più tardi, verso la fine del sesto decennio, al momento degli altri quadri (di Giuseppe Bonito) conservati in questa chiesa. Qui, in sacrestia, è inoltre un’Addolorata, a sua volta riconducibile a un’idea di De Mura, testimoniata dal bozzetto al Pio Monte relativo alla tela ora nella Cattedrale di Barletta (forse del 1743: cat. III.1.110). Entrambi questi dipinti d’impronta demuriana ai Santi Giovanni e Teresa dovrebbero spettare nel 1777 a un tardo seguace del maestro, ossia a Vincenzo de Mita, detto il Foggiano (cfr. il documento in Rizzo 2001); il che ne confermerebbe il carattere derivativo. [Augusto Russo] 

Bibliografia*
De Dominici 1742-1745, III (1745), p. 696; Della Marra 1751, p. 65; Della Marra 1775, p. 139; Caravita 1869-1870, III (1870), pp. 466-468; Guillaume 1879, p. 128; Filangieri 1883-1891, VI (1891), pp. 200-202; Rusconi 1929, p. 81; Ceci 1933c, pp. 12, 16; Bologna 1958, p. 293; Causa 1970, p. 109, nn. 99-100, tav. XXXII e fig. 30; Leonetti Rodinò 1975, p. 22, nn. 77, 79; Pasculli Ferrara 1978-1979, pp. 143-144, e p. 152, fig. 5; Rizzo 1978, pp. 105-106; Enggass 1979; Spinosa 1986, p. 165, n. 272; Rizzo 1986, p. 121, fig. 16; Nolta 1989, pp. 80-81; Enggass 1987; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 20); A. Brogi in Barocco italiano 1995, pp. 210-211, nn. 107-108; Capobianco 1997, pp. 68-69, figg. 58-59; Pavone 1997, pp. 181-183; Dell’Omo 1999, pp. 90, 264; Rizzo 2001, p. 282 doc. 773; Guida rapida 2003, p. 33; Ferrara 2006, pp. 504, 509, fig. 10; Ferrara 2006; Gazzara 2008a, pp. 174-175; Gazzara 2008b, pp. 223-224, 232; Spinosa 2009, p. 34; Leonetti Rodinò 2012, pp. 52, 90; G. Porzio in Una terra felice 2012, pp. 12, 14, fig. 1; Breccia Fratadocchi 2014; G. Porzio in Le stanze delle muse 2014, pp. 280-281, n. 92; D. Campanelli in De Dominici 1742-1745 [2017], III, pp. 1327-1328 note 394-401; Russo 2017, p. 90; Russo 2017, pp. 76-111, 115-119; Lofano 2018b, passim, e pp. 329-330, 332, e p. 334 doc. 6; N. Spinosa in Francesco Solimena 2018, I, p. 396, n. 163, e p. 478, n. 218; Di Furia 2019a, pp. 245-246, fig. 6; Lofano 2019, p. 195.

Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 8r (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 10r (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?], cc. 1v, 2v (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 6v (Appendice II, 307, nn. 105, 106); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 4v (Appendice II, 308, nn. 105, 106); inv. Diana 1802, cc. 5v, 8r (Appendice II, 309, nn. 42, 79); inv. La Volpe, Guerra 1845, c. 29r (Appendice II, 311, n. 79); inv. Simonetti 1851, cc. 11v, 12v13r (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, c. 2r (Appendice II, 315, nn. 42, 79); Elenco de’ quadri 1905, nn. 71, 76, p. n.n. (ma 4); catalogazione 1925, nn. 12-13; catalogazione post 1933, nn. 19, 54. 

Restauri*
Piezzo 2005 [III.1.106]; Russo 2005- 2006 [III.1.105].

Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. nn. III.1.105, III.1.106, pp. 463-466 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/agar-e-ismaele-e-sogno-di-giacobbe/).

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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.