Gloria dei Principi
1764-1765
olio su tela, cm 75 x 100
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 12; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 12; inv. Diana 1802: 117; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 75; scheda OA: 15/00409984
Gloria dei Principi
1764-1765
olio su tela, cm 155 x 150
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 11; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 11; inv. Diana 1802: 38; inv. La Volpe, Guerra 1845: 38; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 74; scheda OA: 15/00409985
Questi due bozzetti si riferiscono – come redazioni alternative, o meglio tappe d’avvicinamento all’idea finale – alla volta affrescata in una delle stanze non più esistenti dell’appartamento di Ferdinando IV di Borbone, riallestito entro il 1766, e precisamente nella stanza da letto ufficiale, detta del Belvedere, nel Palazzo Reale di Napoli. Questa stanza (da cui si accedeva all’alcova) si qualificava soprattutto per il ciclo d’arazzi con Allegorie di Virtù (inizialmente pensato da Luigi Vanvitelli, e oggi in parte disperso), i cui modelli pittorici erano stati chiesti ai migliori maestri sulla piazza, Roma compresa: De Mura stesso vi partecipò col cartone della Pudicizia, tessuto da Pietro Duranti, arazzo tuttora conservato a Palazzo Reale. La decorazione fissa di De Mura, insieme ad altre contigue e più o meno coeve, è andata perduta nell’abbattimento del relativo corpo di fabbrica, esposto a mezzogiorno e delizioso per la vista sul mare, al tempo dei restauri guidati da Gaetano Genovese, dopo l’incendio del 1837 (Sasso 1856-1858; per gli appartamenti settecenteschi: Fiadino 2003, Ascione 2013; per le decorazioni pittoriche: Bologna 1979, D’Alessio 1993, D’Alessio 1997, D’Alconzo 1999a).
La vicenda critica dei nostri bozzetti è abbastanza complessa, sebbene ormai ben nota, e s’intreccia a quella dell’altra coppia, pure al Pio Monte, con Aurora e Titone (cat. III.1.120-121; ragion per cui le rispettive schede in questo catalogo vanno consultate in una logica d’interrelazione, ovvero, se si preferisce, come capitoli continui di un’unica storia). Anche in questo caso, infatti, la lettura dei quadri al Pio Monte fa tutt’uno con la conoscenza storica, e in specie documentaria, delle circostanze e dei luoghi che videro nascere e accolsero in grande le relative opere di decorazione.
Negli inventari demuriani al Pio Monte i due quadri sono indicati come “macchie” col titolo di Gloria dei Principi, e di uno di essi, il maggiore per misure, cioè quello caratterizzato dalla presenza del tempietto rotondo, si specifica la destinazione al Palazzo Reale di Napoli. Raffaello Causa (1970) li collegava alla volta di De Mura nella prima delle anticamere (ovvero nella Sala del Corpo Diplomatico), dove il pittore raffigurò – non a fresco, ma a tempera e olio – la notevole composizione allegorica inneggiante alle Virtù di Carlo di Borbone e di Maria Amalia di Sassonia, coi Genii reali di fianco agli stemmi appaiati delle casate, e con Imeneo che allontana i vizi. L’occasione storica erano, si sa, le nozze dei nuovi sovrani nel 1738. Tuttora in situ, questo grande dipinto, contornato dalla quadratura prospettica dello specialista Vincenzo Re, è descritto con ampiezza da De Dominici (1742-1745; cfr. pure le note di D. Campanelli in De Dominici 1742- 1745 [2017]). Eppure Causa si diceva conscio del forte divario tra i bozzetti al Pio Monte e il dipinto ora ricordato (sia nell’iconografia che nello stile), e, in mancanza d’alternative, addebitava complessivamente l’aporia a qualche affanno di troppo nella genesi della raffigurazione, dovuto a fattori estranei al pittore, e infatti raro in lui. Lo studioso, infine, collegava alla coppia di bozzetti un foglio della Società Napoletana di Storia Patria (poi intitolato l’Apoteosi di Carlo di Borbone: Causa Picone 1974): ma il livello d’attinenza, sia pur da limitare a un’idea appena nascente, appare labile (cfr. quindi un più cauto riferimento di M. Causa Picone in Disegni napoletani del Settecento 1981; G. D’Alessio in Capolavori in festa 1997). Resta – comunque – che il dettato critico di Causa (1970) su questi quadri sia uno dei più ispirati del ‘suo’ De Mura; quadri ‘sentiti’ come spartiti musicali: “ariosi, evasivi, giuocati entro grandi vuoti; annodarsi e disciogliersi di brevi connessioni entro un tessuto armonico in sordina, che però lascia trasparire tutta la purezza dei suoni”.
La svolta esegetica è iniziata con la pubblicazione del bozzetto effettivamente relativo alla volta del 1737-1738 in onore di Carlo e Maria Amalia, conservato in Spagna (già nel Palazzo Reale di El Pardo, e ora in quello di Aranjuez, dove di recente lo ricorda Borla 2018), e tuttavia dapprincipio equivocato nella sua vera destinazione (Urrea Fernández 1977: “uno de los bocetos para la composición del techo de la alcoba del Palacio Real de Nápoles”). A quel punto il più dello scioglimento della questione si deve a Nicola Spinosa (in Civiltà del ’700 1979-1980), il quale ha connesso i bozzetti in esame a un’altra e più tarda campagna decorativa che ebbe luogo nel Palazzo Reale di Napoli e che riguardò – lo si è sunteggiato in apertura – il riassetto delle stanze per il giovane Ferdinando IV di Borbone, figlio e successore di Carlo sul trono del Regno, in vista del raggiungimento della maggiore età e del matrimonio. Oggi, peraltro, si tende a considerare il bozzetto in Spagna, più che uno studio preliminare, un dipinto tratto dall’originale della volta e spedito alla corte di Madrid perché ne fosse nota l’invenzione ai genitori di Carlo (cfr. G. D’Alessio in Capolavori in festa 1997).
Ora, per ‘riambientare’ la Gloria dei Principi occorre riandare al tempo del Consiglio di Reggenza, e riannodare il filo dal punto in cui, nel carteggio tra Domenico Cattaneo principe di San Nicandro, l’aio di Ferdinando, e Carlo III di Spagna, si era definito che De Mura avrebbe affrescato la nuova volta della stanza adibita alla vestizione del re: era il settembre del 1763 (il maestro vi dipinse l’Aurora e Titone). Nella stessa missiva si prospettava l’intenzione, quindi, di decorare altre due stanze adiacenti, ossia la stanza del letto da parata, chiamata il Belvedere, e una “consecutiva stanza di letto usuale”. Bisogna ricordare che all’inizio del Settecento la volta del Belvedere era stata decorata (non si sa con quale soggetto) da Luigi Garzi, e che, al tempo dei primi interventi per Carlo a Palazzo, De Mura l’aveva ritoccata (Catello 1979). Ma lo stato di conservazione nuovamente precario incoraggiava ora le vie più drastiche. Gli aspiranti del San Nicandro per l’impresa erano – una camera per ciascuno – De Mura e Giaquinto, che però continuava a essere acciaccato (Knight 2009; questa lettera è già in Spinosa 1979). A Carlo premeva in particolare che con l’occasione la volta del Belvedere – fatta a ‘incannucciata’, tecnica consueta nel Settecento napoletano – venisse ricostruita in modo più stabile, per evitare un rapido deterioramento della nuova decorazione (Knight 2009). Il successivo scambio di lettere, tra ottobre e novembre, restava incentrato su questa questione, e cioè, per usare le parole del sovrano, se fosse “factible el hazer la bóveda verdadera a la pieza del Belvedere” (Knight 2009). Il 24 gennaio 1764, finalmente, il San Nicandro informava Carlo che – interpellati Fuga, l’architetto dei restauri, e Simeone Pinchetti, ingegnere del corpo d’artiglieria – la volta si sarebbe potuta rifare “soda, e non finta” (Knight 2009). Nella ricostruzione filologica dell’appartamento reale è stata fondamentale, poi, la relazione curata dal San Nicandro e destinata sempre a Carlo in Spagna, il 18 febbraio 1766, dove sono descritti i nuovi, recentissimi allestimenti (D’Alconzo 1999a; Knight 2009). Messo fuori gioco Giaquinto dai suoi malanni, il campo si sgombrava per De Mura, incaricato di lavorare al Belvedere (la successiva stanza da letto d’uso consueto andò a Giuseppe Bonito). La volta, come promesso, venne del tutto rifabbricata in pietra. Nella relazione succitata si scrive così di quest’ambiente: “Stanza ed alcova detta del Belvedere, che si è alquanto alzata, e fattasi la volta vera di pomici della montagna [cioè del Vesuvio], la quale si è dipinta a fresco da Francesco De Mura, e vi si rappresenta con molte figure il Tempio della Gloria” (D’Alconzo 1999a). L’esecuzione del dipinto può essere dunque datata al 1764-1765, o comunque ritenersi compiuta ai primissimi del 1766. Al Marchese di Sade (1996) gli affreschi del Belvedere non piacquero molto, almeno rispetto alla magnificenza dell’ambiente: “Le volte, il cui soggetto è un tempio della Fama, sono del Mura, ma mi sono parse nettamente inferiori al resto”.
Il 1° e il 10 aprile 1766 il San Nicandro scriveva a Fuga per invitarlo a fare la stima del lavoro di De Mura e dell’ornamentista Gaetano Magri, onde poter procedere coi pagamenti. Gli si chiedeva cioè di comparare il risultato del Belvedere con quello precedente della stanza dell’Aurora (per la quale il 19 febbraio 1764 si erano pagati a De Mura 1500 ducati). Quindi, il 16 aprile 1766 il San Nicandro informava il ministro Bernardo Tanucci dell’apprezzo dell’architetto: De Mura avrebbe avuto stavolta 2200 ducati, essendo la volta del Belvedere “más grande que la dela Aurora, y más numerosa de figuras”, e avendo egli dipinto anche varie figure in monocromo nella fascia esornativa di Magri (per la diffusa presenza del quale in quegli ambienti cfr. Ascione 2013). Allora, inoltre, De Mura aveva ritoccato l’affresco di Solimena (realizzato al tempo di Carlo) nella volta dell’alcova del medesimo Belvedere, e tutto ciò giustificava il considerevole aumento della cifra (D’Alconzo 1999a).
Nella composizione della Gloria dei Principi di De Mura sembra essere serbata memoria di un’opera ben più antica di Solimena, intitolata ai diversi modi attraverso cui ascendere alla gloria: e si tratta – è da credere non casualmente – della grande tela da soffitto un tempo nella galleria del palazzo napoletano del Principe di San Nicandro, pittura probabilmente commessa nel secondo decennio del Settecento dal padre del nostro Domenico Cattaneo (la tela fu ritrovata a Parigi da Brejon de Lavergnée 1981, che notò la dipendenza, almeno parziale, del bozzetto demuriano; oggi si trova nel Musée Baccarat, e per essa si vedano F. Sricchia Santoro in De Dominici 1742-1745 [2017] e N. Spinosa in Francesco Solimena 2018).
Al di là degli aspetti formali, propri dell’inoltrata maturità del maestro, sempre più incline a un linguaggio accorto e raffinato, e di statura sovralocale, va da sé che le due versioni della Gloria dei Principi siano stimolanti in specie sotto il profilo iconografico. In tal senso Gino D’Alessio (1993; in Capolavori in festa 1997) ha valorizzato, tra l’altro, il lemma dell’Iconologia di Cesare Ripa dedicato a tale immagine allegorica. Essa sarà figurata – per limitarsi al passo essenziale – da una “donna bellissima” che “terrà con la sinistra mano una piramide, la quale significa la chiara et alta gloria de’ prencipi, che con magnificenza fanno fabriche sontuose e grandi, con le quali si mostra essa gloria”. Ciò risulta pacificamente in uno dei bozzetti, quello più piccolo, mentre nell’altro compare, in luogo della piramide-obelisco, il tempietto a pianta circolare, simbolo di perfezione. Si trattava dunque di un’idea in sostanza estranea all’unione matrimoniale (del resto le nozze di Ferdinando non erano ancor di strettissima attualità), e che “facesse prudente riferimento al solo principe” (D’Alconzo 1999a).
Su tale presupposto è possibile qui fornire qualche ulteriore elemento, secondo quanto emerge da una carta (sciolta e purtroppo senza data) conservata in uno dei faldoni demuriani nell’archivio storico del Pio Monte, forse una minuta con cui la committenza dava istruzioni al pittore su cosa si desiderava che fosse raffigurato: “Nella volta della stanza si deve rappresentare in alto il Tempio della Gloria. Da un lato in essa deve rappresentarsi un uomo guerriero, condotto al Tempio della Gloria da Marte e da Bellona. Al di sotto di essi trofei militari. Dall’altro lato si dovrà rappresentare la Virtù, che uscita dal Tempio della Gloria discaccia ed abbatte un gruppo di vizi, che si vedranno in atto di precipitarsi timidi e vergognosi” (Accordi commissione De Mura s.d.). Non c’è un’assoluta corrispondenza con la nostra raffigurazione, ma la pertinenza del documento è evidente. Bellona, la dea romana della guerra, è identificabile nella figura seduta con elmo e scudo. Tra le divinità c’è anche Ercole in basso a destra. Tra le allegorie la Prudenza è riconoscibile, oltre che dal serpente attorcigliato a una lancia e dallo specchio tenuto nella mano sinistra, dal cervo con lunghe corna ai suoi piedi. Al centro c’è la sagoma per contenere lo stemma borbonico. Nella carta citata troviamo pure le seguenti indicazioni: “Larghezza palmi 30 / Lunghezza palmi 43” (cioè, all’incirca, 8 m per 11½), le quali dovrebbero essere le misure del soffitto della stanza perduta, o, forse, quelle dello spazio ivi destinato alla pittura di De Mura.
Ciò detto, è comunque suggestivo ricordare che di lì a pochi anni il Tempio della Gloria sarà pure il titolo (e il motivo encomiastico-letterario) del poema epitalamico composto dalla giovane Eleonora de Fonseca Pimentel per il matrimonio tra Ferdinando IV e Maria Carolina arciduchessa d’Austria (1768). Qualche dato, infine, dagli inventari ottocenteschi dei quadri al Pio Monte. Riguardo al passaggio d’elaborazione da un bozzetto all’altro, nell’inventario Diana (1802) la tela contrassegnata col numero 38 è detta “quadro […] con l’effigio che rappresenta la macchia allegorica della Nobiltà”, mentre quella col 117 è indicata come “quadro […] che rappresenta un abbozzo del primo pensiere dell’autore”. Analogamente, nell’inventario Simonetti (1851) è annotato che il quadro minore (117) “si potrebbe definire idea primitiva” dell’altro (38), “eseguibile per volta”. Nell’inventario di La Volpe e Guerra (1845), invece, del numero 38 si dice così: “la Virtù che dimostra a Carlo il Tempio della Gloria […], bozzo del quadro dipinto nella gran sala del Palazzo Reale in Napoli”. Questa indicazione, ossia il riferimento a Carlo di Borbone (non altrimenti attestato, sebbene non si escludano future verifiche), darebbe ragione a Spinosa (1986), che ha voluto riconoscere quel sovrano nel personaggio al centro della composizione. Tuttavia vien da chiedersi se gli estensori dell’inventario, che del resto scrivevano quando l’affresco al Belvedere doveva essere già scomparso, non fossero stati in qualche modo condizionati da una fonte quale Giuseppe Sigismondo (1788-1789), il quale – come notato da D’Alessio (1997) – ricorda le volte dipinte dell’Aurora e del Belvedere come opere di De Mura ma le riferisce, facendo confusione sull’epoca di realizzazione, alle ormai lontane nozze tra Carlo e Maria Amalia “Walburga”. Sicché resta plausibile, anzi preferibile, una interpretazione più generica – alla quale d’altronde ci richiama l’antica e tradizionale definizione di Gloria dei Principi –, sia pur prestata ovviamente alla celebrazione del casato borbonico. [Augusto Russo]
Bibliografia*
De Dominici 1742-1745, III (1745), p. 698; Sigismondo 1788-1789, II (1788), pp. 321-322; Sasso 1856-1858, II (1858), p. 258; Ceci 1933c, p. 7; Causa 1970, pp. 73-74, 110-111, nn. 104-105, tavv. XXXIIIXXXIV; Causa Picone 1974, p. 52, n. 274, fig. 89; Leonetti Rodinò 1975, pp. 21- 22, nn. 58, 75, tav. XVIII; Urrea Fernández 1977, p. 340; Bologna 1979; Catello 1979, p. 54; Spinosa 1979, pp. 389- 390 doc. 8; Brejon de Lavergnée 1981, pp. 72-74, fig. 15; N. Spinosa in Civiltà del ’700 1979-1980, I (1979), pp. 202-203, n. 95; Brejon de Lavergnée 1981, p. 74; Il secolo d’oro della pittura napoletana 1984, p. 66; M. Causa Picone in Disegni napoletani del Settecento 1981, pp. 38-39, n. 13; Spinosa 1986, p. 167, n. 280; Nolta 1987, pp. 257-258, fig. 111; Nolta 1989, pp. 190-194; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 18); D’Alessio 1993, pp. 80-81; Sade 1996, p. 266; Capobianco 1997, pp. 65-66, figg. 52, 54; D’Alessio 1997, passim, e p. 198;; G. D’Alessio in Capolavori in festa 1997, pp. 200-204, n. 1.38,pp. 204-205, n. 1.42a-b; D’Alconzo 1999a, passim e pp. 167-168, fig. 3, 171-172, 176 nota 36 ; L. Rocco in Luigi Vanvitelli 2000, pp. 201-202, n. 9, fig. 9; Fiadino 2003; Guida rapida 2003, pp. 30- 31; Spinosa 2003b, pp. 209-210 (e ill. a p. 207); Auriemma, Gazzara 2008, pp. 32-33; Gazzara 2008a, pp. 172; Gazzara 2008b, pp. 222, 225; Spinosa 2009, p. 42; V. Varese in Alla corte di Vanvitelli 2009, pp. 146-147; Knight 2009, II, pp. 580-581, 601, 653, III, pp. 1085-1089; Leonetti Rodinò 2012, pp. 56-57, 91; Ascione 2013, passim, e pp. 100-101;Russo 2015, p. 68; Gazzara 2016, p. 58; Leonetti Rodinò 2016, p. 72; In the Light of Naples 2016, pp. 172-175, n. 35, fig. 81; D. Campanelli in De Dominici 1742-1745 [2017], III, p. 1330 nota 410; F. Sricchia Santoro in De Dominici 1742-1745 [2017], III, pp. 1153-1154 nota 99; Borla 2018, p. 216; N. Spinosa in Francesco Solimena 2018, I, pp. 411-414, n. 178; Lofano 2019, p. 193.
Atti e documenti*
Accordi commissione De Mura s.d., c. n.n.; inv. Spadetta 1782, c. 2v (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, cc. 1v-2r (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?], cc. 1v, 3v (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 1v (Appendice II, 307, nn. 11- 12); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 1r (Appendice II, 308, nn. 11-12); inv. Diana 1802, cc. 5r, 10v (Appendice II, 309, nn. 38, 117); inv. La Volpe, Guerra 1845, c. 27v (Appendice II, 311, n. 38); inv. Simonetti 1851, cc. 10r, 14r (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, cc. 2r, 2v (Appendice II, 315, nn. 38, 117); Elenco de’ quadri 1905, nn. 66-67, p. n.n. (ma 4); catalogazione 1925, n. 79; catalogazione post 1933, nn. 40, 55.
Mostre*
Civiltà del ’700 1979-1980; Il secolo d’oro della pittura napoletana 1984; Capolavori in festa 1997; Luigi Vanvitelli 2000; Alla corte di Vanvitelli 2009; In the Light of Naples 2016.
Restauri*
Piezzo 2006 [III.1.122].
Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. nn. III.1.122, III.1.123, pp. 498-502 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/gloria-dei-principi/).
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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.