Maddalena penitente

Maddalena penitente 
1740-1750 circa 
olio su tela, cm 260 x 182 
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 130; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 129; inv. Diana 1802: 195; inv. La Volpe, Guerra 1845: 195; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 5; scheda OA: 15/00409888 

Questo quadro è un prodotto maturo di De Mura. Raffaello Causa (1970) vi affiancava il San Paolo eremita (cat. III.1.108) del Pio Monte, datando i quadri intorno al 1750 e accostando a essi, appena in seconda battuta, il San Giovanni Battista (cat. III.1.124) della stessa quadreria. Il Battista, già ritenuto di poco più tardo per il processo di affrancamento dalla maniera contrastata nei lumi che De Mura in gioventù aveva ereditato dall’esempio di Solimena e più in genere dalla tradizione locale, dovrebbe in effetti indicare una cronologia anche e sensibilmente più tarda, ormai dentro gli anni Sessanta. 

In realtà nell’idea dello studioso tale insieme di opere, oggi agevolmente verificabile nella stessa sala, sembra soprattutto dare occasione a un piccolo affondo critico per intendere le ragioni e gli esiti formali della maturità del maestro. Il che – se si vuole – era ed è pure una via intelligente e preziosa per aggirare la penuria d’informazioni puntuali sui tre pezzi; carenza persistente, a iniziare in sostanza dall’assenza (o difetto di conoscenza) di legame con un contesto esterno; rapporto che invece costituisce il dato saliente, per lo più, nello studio dei bozzetti, di cui la collezione del Pio Monte offre l’eccezionale mosaico demuriano che conosciamo. Causa ragionava, cioè, sullo svolgimento sempre più personale e riconoscibile di De Mura, volto a certa depurazione di forma pittorica e a certa tipizzazione di figura, racconto o descrizione, in una posa, un taglio, un particolare ricorrente e tuttavia variato: tutto nella nettezza dei contorni, di contro ai pittori facili al tocco e ai decoratori sensibili alla rocaille. Erano aspetti indicativi, in un’ostinazione quasi programmatica, di una tendenza all’accademismo via via più sentito e regolato, sino all’esperienza dell’artista nella condirezione, accanto a Giuseppe Bonito, dell’Accademia napoletana del Disegno (1766; esperienza tuttavia breve, e non felicissima: Lorenzetti 1952). A proposito degli elementi della composizione, lo studioso ebbe il merito di ricondurvi un disegno (proveniente dalla collezione Ferrara Dentice e oggi nel Museo Nazionale di San Martino a Napoli) da lui stesso poco prima avvicinato, per “il carattere della grafia” e “il raffinato gusto pittorico”, ai modi di De Mura (R. Causa in Disegni napoletani 1969): foglio in cui è studiato il brano del Crocifisso, uno dei più torniti e raffinati poi nella tela, con le testine d’angeli e il teschio, per quella sorta di altarolo rupestre dinanzi al quale s’inchina la peccatrice. Il disegno, che nella fattispecie denota un’aderenza precisa tra lo schizzo e l’esito del particolare nel dipinto, ricorda d’altra parte quanto lo studio della grafica di De Mura sia tuttora da condurre in modo sistematico. 

L’accostamento stilistico dei tre quadri su ricordati va ristretto – lo si è accennato – alla Maddalena penitente e al San Paolo eremita (cat. III.1.108). Essi evidenziano problemi in tutto affini e condividono gli stessi (non molti) passaggi di fortuna critica: ragion per cui le rispettive schede nel presente catalogo – concepite e poste come le valve d’un dittico – consigliano o richiedono al lettore uno sforzo più o meno sistematico di consultazione interrelata. De Mura inscena la penitenza della Maddalena in un antro sassoso all’ora della sera, e il volto di lei, mezzo nell’ombra, è netto e quasi alabastrino. Il maggiore degli aspetti in comune tra le due tele, oltre alla resa monumentale e isolata delle figure, è la partitura contrastata di chiari e di scuri, funzionale a quella specie di rigurgito di naturalismo seicentesco, eppur ridotto a nobile fatto d’accademia. Questo compromesso tra ricerca d’effetto e pacatezza di stesura, tra nerbo e controllo, è tanto qualificante quanto ambiguo. 

Significativo, a quest’ultimo riguardo, è stato il dibattito sulla datazione, seguìto all’avvio di Causa. Per la Maddalena Vincenzo Rizzo (1980) ha proposto una cronologia più tarda, agli anni 1765-1775, soffermandosi con acume sul particolare effetto luministico e cromatico: “L’escogitazione più notevole è quella delle ombre; sebbene non si tratti di ombre vere e proprie, ma di toni su toni, e quindi c’è il colore anche nelle ombre”. Nicola Spinosa (1986) si è orientato sul crinale del 1760, quando le recenti sollecitazioni del classicismo romano non potevano non determinare effetti sugli equilibri della pittura napoletana; così che l’artista nella coppia di tele in questione – a dire dello studioso – avrebbe risposto alle nuove esigenze percorrendo “una ipotesi già praticata altre volte dai napoletani del primo Settecento: la ripresa dei modelli e soluzioni del naturalismo seicentesco aggiornati al gusto e alla sensibilità dell’ora”, e cioè, nel De Mura più affermato e ‘canonico’, pur sempre governati tramite la prassi accademica e un filtro razionalizzante. Questa singolare soluzione, secondo Vincenzo Pugliese (in Foggia capitale 1998), “potrebbe però costituire la spia di una cronologia più alta”, attorno al 1740, suggerita dal confronto con dipinti “contraddistinti da un plasticismo altrettanto risentito e da timbri di colore più robusti e sanguigni”, quali, ad esempio, le tele per il Capitolo dell’Abbazia di Montecassino, commesse nel 1735 e note da alcune fotografie prebelliche (se ne vedano due in Rusconi 1929), o, in particolare, l’Agar e Ismaele (cat. III.1.105), bozzetto pure conservato al Pio Monte, e relativo a una delle pitture per la Cappella di San Michele, ciclo risalente al 1737-1739, già nella chiesa della stessa Abbazia. 

Ora alla nostra Maddalena dovrebbe esser lecito apparentare, inoltre, l’altro gran quadro al Pio Monte col Riposo nella fuga in Egitto (cat. III.1.109), che sembra mostrare un punto di stile non molto dissimile (Causa stesso lo datava analogamente attorno al 1750, ma per un altro raffronto), con la Maddalena e la Vergine disegnate sulle rispettive tele da cartoni ben somiglianti. D’altronde negli inventari Spadetta (1782) e Palumbo (1782) questi due quadri sono già appaiati, e Palumbo li valuta congiuntamente: segnale che un’attinenza tra di essi, oltre all’identità di misure, era riconosciuta pressoché dall’inizio. 

Della Maddalena in esame esiste una replica di misure quasi uguali, con varianti di contorno, nel Museo Civico di Foggia, proveniente dall’episcopio di quella città (Pasculli Ferrara 1981). L’opera, più blanda negli impasti e nell’esecuzione (e del resto penalizzata da uno stato di conservazione meno buono), pare un esito derivativo e seriore, benché ancor autografo in sostanza (V. Pugliese in Foggia capitale 1998; Gelao 2000). [Augusto Russo]

Bibliografia*
Rusconi 1929, p. 81; Ceci 1933c, p. 13; Lorenzetti 1952, p. 39; R. Causa in Disegni napoletani 1969, p. 24, n. 51, fig. 42; Causa 1970, p. 114, n. 121, tav. XLI; Leonetti Rodinò 1975, p. 17, n. 1, tav. XX; Rizzo 1980, p. 30; Pasculli Ferrara 1981, p. 61, e fig. 15; Gelao 2000, p. 172 Spinosa 1986, p. 164, n. 268, fig. 320; Nolta 1987, p. 262, fig. 116; Nolta 1989, p. 216; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 8); Capobianco 1997, pp. 47-48, fig. 31; V. Pugliese in Foggia capitale 1998, pp. 199-200; Guida rapida 2003, p. 20; Spinosa 2003b, p. 210 (e ill. a p. 208); Gazzara 2008a, p. 175; Gazzara 2008b, p. 228; Spinosa 2009, pp. 42, 48; Leonetti Rodinò 2012, pp. 53, 58, 91; R. Lattuada in Lattuada, Venditti 2014, p. 101; Leonetti Rodinò 2016, p. 72; Rizzo 2018, pp. 84-85; Lofano 2019, p. 197. 

Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 12r (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 12v (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?], c. 6r (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 8r (Appendice II, 307, n. 130); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 5r (Appendice II, 308, n. 129); inv. Diana 1802, c. 16r (Appendice II, 309, n. 195); inv. La Volpe, Guerra 1845, c. 26r (Appendice II, 311, n. 195); inv. Simonetti 1851, c. 10r (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, c. 3v (Appendice II, 315, n. 195); Elenco de’ quadri 1905, n. 3, p. n.n. (ma 1); catalogazione 1925, n. 23; catalogazione post 1933, n. 119.

Restauri*
Arciprete 2001-2002. 

Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. n. III.1.107, pp. 467-468 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/maddalena-penitente/).

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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.