Madonna delle Grazie e i santi Giovanni Battista e Rosa da Lima

Madonna delle Grazie e i santi Giovanni Battista e Rosa da Lima 
1725-1730 circa 
olio su tela, cm 61 x 49 
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 86; Fischetti, inv. Bardellino II: 86; inv. Diana 1802: 66; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 19; scheda OA: 15/00409903 

È il bozzetto di un dipinto – una pala (o una paletta) d’altare centinata – mai rintracciato, ammesso che sia stato in effetti compiuto. Riguardo all’iconografia, il tipo è quello della Madonna delle Grazie, con un seno scoperto (senza tuttavia la tradizionale presenza delle anime purganti, destinatarie del gocciolamento di latte ristoratore). In tal senso De Mura sembra recuperare, e reinterpretare in controparte, un modello del proprio maestro Francesco Solimena, peraltro relativamente antico, quale la Madonna delle Grazie (1698) nella chiesa dell’Annunziata a Barra (Napoli; lo si veda con N. Spinosa in Francesco Solimena 2018). Ciò detto, sullo stile si basa ogni disamina: e l’operetta è di quelle che recano di più, tra i numeri di De Mura conservati al Pio Monte, l’impronta solimenesca della sua formazione. 

L’assetto critico di Raffaello Causa (1970) è tuttora valido, compreso l’abbinamento tra il bozzetto in esame e il Sant’Antonio di Padova col Bambino (cat. III.1.88), ritenuti – nonostante il diverso statuto di opera finita spettante al secondo – prossimi nel dato formale e al pari indicativi dei modi tipici della giovinezza di De Mura. Lo confermano – per usare il lessico dello studioso – “il duro macchiato chiaroscurale, lo scattante risalto dei chiari sulla violenta incisione dei volumi, lo stesso gusto compositivo”. E nondimeno vi si coglievano i germi di qualche carattere altrettanto tipico dello sviluppo del linguaggio di De Mura, in chiave, si direbbe, plastico-luminosa: certa tendenza alla levigatezza di superfici e alla densità nella resa delle masse, a fronte del segno più ‘nervoso’ e del chiaroscuro più ‘sporco’, in genere, di Solimena. Vincenzo Rizzo (1978) ha affiancato al nostro bozzetto l’altro raffigurante la Madonna del Rosario con san Domenico, pervenuto al Pio Monte e poi alienato allo Stato italiano nel 1907, quindi dal 1957 pertinente alle raccolte di Capodimonte (cfr. N. Spinosa in Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVIII secolo 2010): opere a loro volta avvicinate dallo studioso all’Immacolata Concezione oggi nella chiesa napoletana del Divino Amore. La critica vi ha poi accostato l’altro bozzetto con la Madonna delle Grazie e i santi Filippo Neri e Gaetano da Thiene, pure in origine al Pio Monte e oggi nella collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso (Bologna), quadro giudicato altrettanto precoce per lo “spiccato solimenismo” e il “lume sbozzante” (A. Brogi in La raccolta Molinari Pradelli 1984). Di questo bozzetto è ora nota la relativa paletta d’altare, nella prima cappella a destra della chiesa di San Paolo a Sorrento (De Luca 2016): notizia che non fa escludere in futuro la possibilità di un’analoga agnizione per il bozzetto in esame, magari, di nuovo, nella meno sondata provincia campana o meridionale. L’accostamento è condiviso da Giuseppe Porzio “per impostazione e formato, ma meno per punto di stile”; il che potrebbe prospettare – secondo lo studioso – una datazione di poco successiva per la teletta del Pio Monte (G. Porzio in Quadri di un’esposizione 2012 e in Le stanze delle muse 2014). Questa precisazione è utile perché – come ci sembra – vi si tiene conto del livello lievemente diverso d’esecuzione su di un’ossatura in comune: più abbreviato e ‘macchiato’ nel quadro Molinari Pradelli, più definito e ‘pulito’ in quello al Pio Monte. Ma resta difficile stabilire se ciò sia legato a una crescita dell’artista, e quindi a una progressione diacronica, oppure a un differente stadio nell’elaborazione di opere per incarichi suppergiù coevi. Una cronologia orientativa agli anni 1725-1730 – ossia la stessa indicata per il quadro Molinari Pradelli – sembra comunque compatibile col nostro bozzetto. Era quello, d’altronde, un lustro decisivo, che vide il passaggio dalla bottega di Solimena alla piena autonomia. 

La fase giovanile di De Mura – si può dire più in generale – resta un capitolo non privo di difficoltà, e in attesa di sistemazione. De Dominici ne resta il miglior esegeta (cfr. pure gli aggiornamenti di D. Campanelli in De Dominici 1742-1745 [2017]; si recuperino poi i riferimenti sparsi in Bologna 1958, e si vedano ancor gli affondi per certi versi fondativi di Causa 1970 e di Rizzo 1978). La ‘scuderia’ di Solimena permetteva l’avvio più spendibile sul mercato, ma insieme poteva tenere nelle retrovie, e per troppo tempo, anche i talenti veri. Il problema precipuo è il rapporto d’aderenza, e poi di graduale distanziamento, rispetto al linguaggio più normativo del Solimena primo-settecentesco. A questo riguardo i nostri punti fermi – in sintesi estrema – sono l’introduzione “in quella famosa scuola del perfetto operare”, che secondo De Dominici sarebbe avvenuta verso il 1708, cioè quando il ragazzo era sui dodici anni; e quindi, all’altro termine, l’affrancamento dal maestro, che dové verificarsi appena prima del 1727-1728, cioè alla vigilia dell’incarico per Santa Maria Donnaromita a Napoli, come riporta un testimone attendibile quale Antonio Roviglione (1731) nelle aggiunte alla prima edizione napoletana dell’Abcedario pittorico dell’Orlandi. Un altro picchetto fondamentale riguarda l’ormai ben nota e pressoché paradigmatica Pentecoste della Cappella Lembo nella Cattedrale di Salerno (Pavone 1994b; Pavone 1997; e più recentemente Abbate 2009; Causa 2014), che, come si precisa nel relativo pagamento ad acconto, nel 1722 De Mura era tenuto ad eseguire da un disegno di Solimena e alla presenza del medesimo, traendone dapprima il bozzetto. Si può supporre che ciò sia avvenuto non eccezionalmente in quel periodo, come prassi di bottega e garanzia di merito per i committenti più esigenti. Inoltre ci s’interroga, in casi del genere, cioè così documentati, sulla labilità dei confini dell’autografia: tra invenzione, svolgimento e redazione finale dell’opera. 

Facile capire, in ogni modo, che lo studio del pittore su questo tratto avrà vantaggio – oltre che da novità documentarie – da uno snellimento del catalogo della maturità di Solimena. Valga da esempio lo spostamento d’attribuzione al giovane De Mura della Madonna col Bambino e i santi Gennaro e Sebastiano nel Milwaukee Art Museum, già assegnata al caposcuola (la proposta spetta a Porzio nelle summenzionate sedi; cfr. poi N. Spinosa in Francesco Solimena 2018). Il suggerimento è avvalorato dalla sovrapponibilità d’impianto tra il dipinto di Milwaukee e la paletta d’altare della Cappella Maldacea nell’ex Cattedrale di Santa Maria delle Grazie a Massa Lubrense, esposta su un altare che reca la data del 1728: opera, questa seconda, la cui autografia demuriana, pur non documentata, appare a sua volta suffragata dallo stile (A. Russo in Antica Cattedrale di Massa Lubrense 2012). [Augusto Russo] 

Bibliografia* 
Roviglione 1731, p. 449; Ceci 1933c, p. 11; Bologna 1958; Causa 1970, pp. 63-80,108, n. 95, fig. 28; Leonetti Rodinò 1975, p. 17, n. 10; Rizzo 1978, p. 96 e passim; A. Brogi in La raccolta Molinari Pradelli 1984, p. 147, n. 110; Rizzo 1986, p. 117, fig. 8; Nolta 1987, p. 252, fig. 107; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 9); Pavone 1994b, pp. 41-42, 106; Capobianco 1997, p. 49;  Pavone 1997, pp. 179-180, 487; Gazzara 2008a, p. 174; Gazzara 2008b, p. 224; Abbate 2009, pp. 28-29; N. Spinosa in Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVIII secolo 2010, p. 52, n. 47; G. Porzio in Quadri di un’esposizione 2012, pp. 233-234, n. 81; Leonetti Rodinò 2012, p. 91; A. Russo in Antica Cattedrale di Massa Lubrense 2012, pp. 161-163; Causa 2014b, p. 31; G. Porzio in Le stanze delle muse 2014, pp. 282- 283, n. 93; De Luca 2016, pp. 48-49, fig. 46; Leonetti Rodinò 2016, p. 69;  D. Campanelli in De Dominici 1742-1745 [2017], III, pp. 1322-1326 note 381-392; N. Spinosa in Francesco Solimena 2018, I, p. 311, n. 121, e pp. 600-601, n. D2; Lofano 2019, p. 194. 

Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 6r (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 8r (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?], c. 2r (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 5v, n. 86 (Appendice II, 307, n. 86); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 3v (Appendice II, 308, n. 86); inv. Diana 1802, c. 7r (Appendice II, 309, n. 66); inv. Simonetti 1851, cc. 5v-6r (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, c. 2r (Appendice II, 315, n. 66); Elenco de’ quadri 1905, n. 90, p. n.n. (ma 5); catalogazione 1925, n. 25; catalogazione post 1933, n. 78. 

Restauri* 
Piezzo 2006.

Scheda tratta da:  P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. n. III.1.89, pp. 437-438 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/madonna-delle-grazie-e-i-santi-giovanni-battista-e-rosa-da-lima/).

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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.