Ritratto di Anna Ebreù, moglie del pittore
1727-1735 circa
olio su tela, cm 98 x 75
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 77°/2; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 77°/2; inv. 2009-2010: 66; scheda OA: 15/00410031
Dai precisi tratti somatici, tipicamente legata alla ritrattistica ufficiale, la donna raffigurata è Anna Ebreù, sposa di Francesco De Mura dal 1727 e morta, molti anni prima del marito, nel 1768. Il riconoscimento con la moglie del pittore, descritta non proprio in modo lusinghiero nel testamento del marito (Appendice II, 302), di professione “lavandaia”, è in contrasto con l’impostazione aristocratica del ritratto, a tal punto da indurre la critica a dubitare dell’identificazione: “l’esaltata ostentazione di questa giovanile bellezza, la proterva e quasi impudica sicurezza del personaggio, le belle virginali mani affusolate ad intrecciare il ricciolo, l’occhio vellutato a scrutar l’astante con aristocratica ironia” (Causa 1970) hanno fatto avanzare l’ipotesi che si trattasse piuttosto di una donna di nobili natali, come ad esempio Faustina Pignatelli, anch’essa citata negli inventari. Ma il riscontro documentario non lascia dubbi e in occasione della mostra monografica sul pittore si è avuto modo di chiarire il soggetto del dipinto (Gazzara 2016), mettendo a confronto i diversi atti della donazione del pittore, allora in parte inediti e oggi in questo catalogo riuniti e trascritti integralmente, la cui lettura comparata fornisce diverse precisazioni sulle opere citate.
Tra i dipinti donati da Francesco De Mura al Pio Monte della Misericordia insieme al suo ingente patrimonio, vi sono due versioni di autoritratti e un ritratto della moglie. Il primo inventario, redatto subito dopo la morte del pittore, fu stilato nell’agosto del 1782 da Ignazio Spadetta, che annota il contenuto di tutta la casa. Nella “stanza da mangiare” leggiamo: “un Ritratto della commoglie di detto quondam don Francesco, di palmi 3 per 4, con cornice indorata” (Appendice II, 303). Il successivo inventario, datato 9 settembre 1782, fu steso da Francesco Palumbo, allievo di De Mura, chiamato a valutare i dipinti. Qui, il ritratto in esame è annotato insieme a quello del pittore: “Ritratto del signor don Francesco de Muro, si valuta, per il valore del pennello e per essere al vivo, docati, compreso quello della moglie, 1000” (Appendice II, 304). I prezzi decisivi dei dipinti furono stabiliti da Fedele Fischetti e Pietro Bardellino nel 1783, allievi del pittore, che stesero un doppio inventario in cui compaiono ancora i due ritratti in coppia. Nel primo di questi due inventari si legge: “I ritratti marito e moglie del fu De Muro, [ducati] 300” (cfr. Ceci 1933c e Appendice II, 307), annotazione che nel secondo elenco si ripete pressoché identica (cfr. Gazzara 2008a e Appendice II, 308).
Tali citazioni inventariali non sempre sono state affiancate con certezza al dipinto: dopo La mostra della pittura napoletana (1938), il primo a mettere in discussione l’iconografia del dipinto è Raffaello Causa (1970). Questi evidenzia, a partire dagli inventari Fischetti, Bardellino, i due ritratti femminili: la moglie del pittore, ma anche donna Faustina Pignatelli principessa di Colubrano, quest’ultima probabile effigiata nella tela al Pio Monte secondo lo studioso. Rizzo, invece, non dubita che questa tela raffiguri Anna Ebreù e colloca il ritratto tra gli esempi più intensi di “saporoso rococò”, vezzoso e ironico tanto da accostarlo a certe soluzioni di Hogarth (Rizzo 1978, 1980 e 1990a). Così come Sestieri (1988), che definisce il Ritratto della moglie “di una sodezza plastica ancora solimenesca, ben atta ad esaltare la fresca vitalità di questa tipica donna meridionale”. Il dubbio di Causa, invece, viene raccolto da Nicola Spinosa (in Civiltà del ’700 1979-1980), che tuttavia presenta il dipinto come ritratto della moglie del pittore, datando la tela a un periodo che va dal 1727-1728 al 1730-1732, tempo in cui De Mura è ancorato a una certa dipendenza solimenesca, tuttavia assai frequente nei suoi ritratti. Lo stesso studioso ritorna in diverse occasioni sul dubbio avanzato da Causa e pubblica la tela come Ritratto di dama (Spinosa 1986 e 1993) o come presunto ritratto della moglie (2003b). L’opera è esposta ancora come Presunto ritratto della moglie (G. Spina in L’anima e il volto 1998) e dubitativamente individuata nella Principessa di Colubrano da Capobianco (1997) . Anche la scrivente, concentrata nella lettura delle stesse fonti e in assenza di dati sul ritratto della Colubrano, sommariamente descritto negli inventari di Fischetti e Bardellino, suggestionata dalle precedenti incertezze, aveva ribadito che la tela poteva essere il ritratto dell’aristocratica Faustina Pignatelli (Guida rapida 2003 e Gazzara 2008a). Ma la continua lettura delle carte corre in risposta e i dubbi di cinquant’anni anni vengono sciolti. Bastava allungare gli occhi su altre fonti, già che il sopracitato inventario Palumbo segnala inequivocabilmente un “Altro ritratto della Principessa di Colombrano, senza cornice, di palmi 4, ovato, non compito si valuta per docati 30” (cfr. Gazzara 2016 e Appendice II, 304). È chiaro che la descrizione dettagliata del ritratto ovale, non finito, della Pignatelli esclude che esso corrisponda alla tela oggetto di questa scheda, che dunque fuor d’ogni dubbio si può identificare con la moglie del pittore. Non possiamo affermare con certezza il periodo d’esecuzione del dipinto, anche se l’aspetto dell’effigiata, che non sembra superare i trent’anni, potrebbe far supporre l’esecuzione nel primo periodo di vita coniugale, dando per buona la consuetudine di contrarre matrimonio in giovane età. Ignorando al momento la data di nascita della Ebreù, che rafforzerebbe tale ipotesi, e partendo dall’assioma che è molto difficile avere certezze cronologiche sulla lunga carriera del pittore, e ancor più con i ritratti da lui eseguiti, proviamo a ragionare confrontando il nostro dipinto con altri ritratti di Francesco De Mura. La sicura e composta figura del cardinale Antonio Sersale, datato 1756 (collezione Myron Laskin), a cui vengono accostati gli autoritratti del pittore (al Minneapolis Institute of Art e agli Uffizi) e il ritratto di James Joseph Mahoney (Fitzwilliam Museum, Cambridge, cfr. Spinosa 1986 e A.R. Blumenthal in In the Light of Naples 2016), dagli impasti lucidi e compatti, si discostano dal ritratto qui al Monte, più intimo, dal carattere meno ufficiale e dai lievi trapassi di ombre soffuse. Anche il panneggio della nostra figura ha un carattere più decorativo, accentuato dai cangiantismi del taffetà ocra che avvolge la vita della donna, realizzato con rapide lumeggiature, le stesse tuttavia che ritroviamo nel ritratto del conte Mahoney (ante 1747 per Spinosa 1986), quest’ultimo messo a confronto con la fase più avanzata dei ritratti di De Mura accostati alla ritrattistica di Pierre Subleyras (A.R. Blumenthal in In the Light of Naples 2016 che lo data al 1733), caratteristica tuttavia che non sembra manifesta nel nostro ritratto. Si aggiunge qui il confronto con l’Allegoria dell’autunno della collezione di Clovis Withfield di cui purtroppo non si conosce certa cronologia (in Spinosa 1999 e A.R. Blumenthal In The Light of Naples 2016): la sovrapponibile soluzione compositiva con la posa delle braccia arcuate e delle mani danzanti, l’una in basso che sorregge un cesto di frutta – nel nostro dipinto che avvolge il drappo sul ventre – l’altra verso il petto, con il pollice e indice che sostengono un grappolo d’uva – nel ritratto al Pio Monte a toccare delicatamente il boccolo di capelli che dalla nuca circonda il sensuale decolté; le stesse ombre sfumate sull’incarnato, specie quelle che accompagnano dolcemente quasi tutta la parte destra dei volti, lasciando in luce la guancia sinistra e la fronte; comune alle due figure, infine, è la resa sensuale dell’esaltazione del femmineo gesto accentuata dall’omaggio dei fiori, entrambi a destra delle donne effigiate che completano la scenografia. Non si concorda con la datazione al 1770 proposta, seppur con un punto di domanda, da Blumenthal, troppo avanzata per la scrivente, non solo per l’accostamento con il nostro dipinto, ma anche per la stesura della materia pittorica di questa Allegoria che la avvicina addirittura ad una fase giovanile e più solimenesca, caratteristica presente già nel Sant’Antonio da Padova (cat. III.1.88). [Loredana Gazzara]
Bibliografia*
De Dominici 1742-1745 [2017], III, p. 1335, nota 424; Morelli 1910; Ceci 1933a, pp. 107- 108, 115; Lorenzetti 1938, pp. 192-193; F. Bologna, G. Doria in Mostra del ritratto 1954, pp. 38, 52; Causa 1970, scheda 97, pp. 64, 108- 109, fig. 30; Leonetti Rodinò 1975, p. 22; Rizzo 1978, p. 99; N. Spinosa in Civiltà del Civiltà del ’700 1979-1980, I, scheda n. 88, pp. 192-193; Rizzo 1980, p. 34; P. Rosenberg in Arti e Civiltà 1982, p. 89; M. Chiarini in Le portrait 1982, pp. 158-159, scheda n. 88; R. Middione, F. Petrelli in Il secolo d’oro della pittura 1984, p. 64; R. Middione in A nápolyi festészet 1985, p. 129, scheda n. 81; Spinosa 1986 [1993], pp. 137, 145, 160- 161, 168, 345, schede nn. 257, 263, 287, fig. 304; Sestieri 1988, p. 94; Rizzo 1990a, pp. 674-681; Il Pio Monte della Misericordia 1991, pp. n.n. (ma 22 e 24); Capobianco 1997, p. 72; G. Spina in L’anima e il volto 1998, p. 305; Guida rapida 2003, p. 33; Spinosa 2003, p. 210; Gazzara 2008a, pp. 174, 179; Leonetti Rodinò 2012, p. 52; Gazzara 2016, pp. 57-58; Leonetti Rodinò 2016, p. 70; A.R. Blumenthal in In the Light of Naples 2016, p. 130, fig. 57, pp.128-131, 150-155, 188-189, schede nn. 17, 25, 27, 40.
Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 12v (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 6r (Appendice II, 304, s.n.); inv. Fischetti Bardellino I 1783, c. 5r (Appendice II, 307, n. 77°/2); inv. Fischetti Bardellino II 1783, c. 3v (Appendice II, 308, n. 77°/2); catalogazione 1925 n. 14; catalogazione post 1933, n. 100.
Mostre*
La mostra della pittura napoletana 1938; Civiltà del ’700 1979-1980; Le portrait 1982; Il secolo d’oro della pittura 1984; A nápolyi festészet 1985; L’anima e il volto 1998.
Restauri*
Tatafiore 2005.
Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. n. III.1.91, pp. 441-443 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/ritratto-di-anna-ebreu-moglie-del-pittore/).
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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.