Ritratto di padre Francesco de Geronimo
1758
olio su tela, cm 65 x 50
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 18; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 18; inv. Diana 1802: 74; inv. 2009-2010: 67; scheda OA: 15/00410016
Per certi versi questa mezza figura è tra i numeri meglio noti della quadreria del Pio Monte, contribuendo ai riferimenti della spiritualità napoletana del Settecento affidata alle immagini dei suoi campioni allora più attuali, e soprattutto più familiari nei sentimenti del popolo. Benché famoso, il personaggio esige almeno qualche cenno biografico (per un profilo: Busolini 1997). Pugliese nativo di Grottaglie nel 1642, Francesco de Geronimo si educò nel Collegio dei Gesuiti a Taranto. Partito per Napoli, pare che abbia seguìto, col fratello Giuseppe Maria, lezioni di disegno se non proprio di pittura. Qui decise di entrare nella Compagnia di Gesù, facendo il suo ingresso al noviziato nel 1670. Sua aspirazione costante furono le missioni, ma alle richieste di andare all’estero i superiori gli replicavano che avrebbe trovato le sue ‘Indie’ in Italia: di qui il suo apostolato tutto napoletano, e in specie accostevole verso gli umili. Settantaquattrenne, Francesco morì nella Casa Professa di Napoli l’11 maggio 1716, in odore di santità, e il suo corpo fu sepolto nella chiesa del Gesù Nuovo. La lettura critica di Raffaello Causa (1970), che indicava in questa tela uno dei “più singolari e validi esempi della ritrattistica demuriana”, è a tutt’oggi efficace. È possibile che il quadro sia nato come studio della figura del religioso per la pala d’altare – la Madonna col Bambino e santi della Compagnia di Gesù – nel Monte Manso di Scala a Napoli, opera firmata da De Mura e datata 1758 (su cui Rizzo 1980), dove il padre De Geronimo compare a destra, con aspetto e positura sovrapponibili a quelli del suo ritratto qui discusso. Nel 1758, d’altro canto, papa Benedetto XIV affermava l’eroicità delle virtù del gesuita, il cui processo di canonizzazione fu poi ritardato dalle vicende legate all’espulsione dei Gesuiti nel secondo Settecento borbonico (la beatificazione arrivò nel 1806, e la canonizzazione, da papa Gregorio XVI, il 26 maggio 1839). Nicola Spinosa (in Civiltà del ’700 1979-1980) ha tuttavia notato che l’effigie del padre è assente nel bozzetto della pala al Monte Manso (allora segnalato dallo studioso in collezione Eugene A. Davidson a Chicago), deducendone che il progetto del grande dipinto fosse iniziato prima della proclamazione papale del 1758 or accennata (un altro bozzetto è nel Museo Civico di Barletta: Pasculli Ferrara 1981). Si può dunque pensare che il De Geronimo vi venisse aggiunto solo in extremis, ragion per cui il pittore si studiò d’inserirne la figura senza dover modificare l’assetto complessivo già raggiunto. Nondimeno è evidente che la tela in esame rivendica uno statuto più largo rispetto a un bozzetto preparatorio, per quanto notevole in sé. Dal partecipare a una grande scena d’altare all’essere un’‘icona’ singola e domestica (o viceversa) il passo demuriano è breve. Il Francesco de Geronimo al Pio Monte è opera di valenza autonoma, e ben oltre il livello implicito della devozione. Intanto la caratura ritrattistica, sia pur mediata dall’interpretazione pittorica, non dovrebbe prescindere dalla memoria dei lineamenti tramandata sin dalla posa sul cadavere (Causa 1970 segnalò l’eventualità del supporto di una maschera mortuaria). Il gesuita Carlo Stradiotti (1719), uno dei suoi primi biografi, ricorda che nel Gesù Nuovo “hebbero l’agio molti pittori di ricavarne il volto in gesso, ed in cera, per poi ritrarlo in tela”; mentre nessuno – prosegue – aveva avuto “la fortuna di colorirlo interamente al vivo, qual egli fu”. A quest’ultimo riguardo va ricordato l’aneddoto secondo cui il padre, con motto scherzoso, si sarebbe ‘smarcato’ da Paolo de Matteis che voleva fargli il ritratto (Muzzarelli 1806). Alla morte, immagini di lui, ritenute dispensatrici di grazie e protezione, erano diffuse in città, affisse per le strade, nelle case e ai confessionali (infaticabile produttore ne fu, tra gli altri, il pittore Nicolò Murena). Si tratta di un caso esemplare in cui misurare la dialettica tra ritratti eroici e percorsi di santificazione: al riguardo Romeo De Maio (1983) ha scritto righe stimolanti per lo storico che intersechi società, religiosità e arti figurative.
In Stradiotti (1719), inoltre, è un ritratto che merita di essere riportato con ampiezza: “Fu il padre Francesco di statura più tosto alta, che bassa; di vita smunta, e scarnata […]. Fu di testa piccola, e alquanto acuta, di fronte larga, cui stringevano le tempia incavate verso il capo un poco calvo; di capellatura negra, ma sparsa di bianchi; le ciglia folte; gli occhi negri, e rientrati, cui sempre teneva sommessi a terra […]; le guance smunte, il naso alquanto rilevato, e che si slargava nelle narici; il colore abbronzito, e come cotto dal sole; la barba negra, ma sul mento bianca; il collo sottile, e macilente. […] La bocca larga, nel che mancano i pittori, con fargliela chiusa, poiché gli dava grazia, e non difetto, la dentatura mancante, e scarsa di denti. Le braccia nelle strade portavale coperte sotto il mantello; e in casa incrocicchiate nel seno, con tenere spesso in mano la berretta, e ’l capo scoperto: cortese, anzi umile con tutti”. Una descrizione necessaria – avverte lo scrittore – perché più fedele delle “tante pitture e stampe” circolanti, ma che a suo parere avevano dell’effigiato “l’aria sola”. Poté un ricordo siffatto, oltre alle varie rappresentazioni, contribuire in qualche maniera alla sensibilità di un ritratto come quello di De Mura?
Nell’effigie in questione l’indagine sul dato fisionomico, pur indiretta, è presente, anzi qualificante, ma lo sforzo analitico è sempre governato da una superiore qualità d’arte, la quale stempera le urgenze appuntite, scabre e penitenti di questi tratti senili, senza che l’individualità ne abbia a risentire. Un’immagine di semplicità e modestia, e ingentilita il giusto, e alla quale sembra corrispondere una materia sottile nell’impasto ed essenziale nella gamma (Causa 1970 scrisse di “una preziosissima ed irreale tessitura cromatica”, principale mezzo del pittore con cui sollevare i dati realistici più irriducibili; seguìto in ciò da Spinosa 1986, che ha parlato di “un processo di rarefazione mentale ancor più che squisitamente pittorico”; ma cfr. pure la lettura di Rizzo 1980: “le tormentate mani giunte, che si toccano nella preghiera, sono leggere e insieme di un verismo assoluto”; e Rizzo 2018).
Per certo differente, infine, la raffigurazione intima di De Mura da altri esempi pittorici pure sostenuti, come quelli precedenti di Ludovico Mazzanti (cfr. a proposito N. Spinosa in Pittura sacra a Napoli 1980), in cui prevale, al di là del diverso discorso di stile, una versione di Francesco de Geronimo ‘pubblica’ e militante. Anche il fondo bruno del nostro quadro, senza dettagli d’ambiente, partecipa di quella sua natura, scongiurando ogni rischio di oleografia. [Augusto Russo]
Bibliografia*
Stradiotti 1719, pp. 130-131, 132-133; Muzzarelli 1806, p. 107; Ceci 1933c, p. 7; Causa 1970, pp. 64, 78, 116-117, n. 129, tav. XLVIII; Leonetti Rodinò 1975, p. 17, n. 4, tav. XXIV; Rizzo 1980, pp. 35-36; N. Spinosa in Civiltà del ’700 1979- 1980, I (1979), pp. 200-201, n. 94; N. Spinosa in Pittura sacra a Napoli 1980, pp. 58-60, n. 24;Rizzo 1980, p. 34; Fittipaldi 1981, p. 134; Pasculli Ferrara 1981, pp. 58-59, e fig. 9; De Maio 1983, pp. 144-150; Spinosa 1986, p. 165, n. 270, fig. 327; Nolta 1989, p. 227; Rizzo 1990a, p. 678; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 21); Busolini 1997; Capobianco 1997, pp. 70-72, fig. 60; Guida rapida 2003, p. 33; Gazzara 2008a, p. 172; Gazzara 2008b, p. 224; Spinosa 2003, p. 210; Spinosa 2009, p. 34; Leonetti Rodinò 2012, p. 91; Leonetti Rodinò 2016, p. 74; Rizzo 2018, pp. 70-71; Lofano 2019, p. 194.
Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 5r (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 2v (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?]: c. 2v (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 1v (Appendice II, 307, n. 18); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 1v (Appendice II, 308, n. 18); inv. Diana 1802, c. 7v (Appendice II, 309, n. 74); Quadri rimasti invenduti 1884, c. 2r (Appendice II, 315, n. 74); Elenco de’ quadri 1905, n. 93, p. n.n. (ma 5); catalogazione 1925, n. 28; catalogazione post 1933, n. 72. mostre Civiltà del ’700 1979-1980.
Restauri*
Russo 2005-2006.
Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. n. III.1.117, pp. 488-489 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/ritratto-di-padre-francesco-de-geronimo/).
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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.