San Severino e San Sossio

San Severino 
1736-1740 
olio su tela, cm 59 x 35 
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 139; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 139; inv. Diana 1802: 50; inv. La Volpe, Guerra 1845: 50; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 57; scheda OA: 15/00409997 

San Sossio 
1736-1740 
olio su tela, cm 59 x 35 
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 138; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 138; inv. Diana 1802: 46; inv. La Volpe, Guerra 1845: 46; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 58; scheda OA: 15/00409996 

Per lo più e a lungo creduti un Santo vescovo e un Santo Stefano, questi due bozzetti, d’identiche dimensioni e concepiti en pendant, sono in realtà relativi rispettivamente ai monumentali San Severino e San Sossio affrescati da De Mura nella chiesa superiore dell’omonimo ex monastero benedettino a Napoli, quali parte integrante del progetto e del cantiere pittorico della volta, con le Storie di san Benedetto, secondo il contratto stipulato il 17 maggio 1736 (trascritto in Russo 2017). L’enorme lavoro ebbe compimento nel 1740, e al Pio Monte se ne conservano taluni altri bozzetti (cfr. cat. III.1.96-102). Le due figure sono collocate nel registro più alto della facciata interna, ad altezza compatibile coi ponteggi allestiti per il soffitto, e precisamente negli spazi laterali del lunettone, ovvero sagomati ai fianchi della finestra polilobata che, con un altro finestrone sottostante, buca la parete d’ingresso. De Dominici (1742-1745) termina la sua descrizione della volta così: “Allato al finestrone vi sono le figure di san Sossio e san Severino, dipinte ne’ spicoli laterali”. 

Tale assetto segna una delle principali differenze – al di là del radicale cambiamento di gusto – tra la nuova decorazione di De Mura e quella precedente, opera di Belisario Corenzio, risalente al primo Seicento, descritta nelle guide e perduta nella rifazione settecentesca della volta (cfr. Pavone 1997); il che può essere di qualche interesse per chi si applichi allo studio dei contesti e delle immagini che vi si sono stratificate o, come nella fattispecie, avvicendate nel tempo, tra continuità di temi e rinnovamento di sintassi e linguaggio decorativo. Un tempo, infatti, la nostra volta si presentava “con tre ordini di quadri nel mezo”, in cui erano raffigurati, al centro, “alcuni miracoli di san Benedetto fundator della religione benedittina” e, a destra e a sinistra, “la vita di san Severino apostolo, di san Sosio discepolo del nostro san Gianuario, con i quali […] s’allude al fundator dell’habito che portano i monaci di questo luogo, et al titolo di essa chiesa” (d’Engenio Caracciolo 1623). 

Per l’apparentamento dei due santi in questo contesto occorre risalire alle origini stesse del cenobio napoletano, fondato in un’insula del centro antico dai Benedettini, i quali all’inizio del X secolo vi traslarono le reliquie di san Severino, vissuto nel V secolo ed evangelizzatore del Norico, cui non molto tempo dopo si unirono quelle di san Sossio, rinvenute a Miseno dai monaci che scavavano in quel luogo per procurarsi materiale da costruzione (sul complesso dei Santi Severino e Sossio, soprattutto per le vicende storicoarchitettoniche, cfr. tuttora Pessolano 1977; Pessolano 1978). 

Il riconoscimento d’entrambi i santi nei rispettivi bozzetti al Pio Monte (già in Nolta 1989), in verità per nulla arduo, permette ormai di superare ampiamente la curiosa incertezza che in un primo momento ha penalizzato la loro identificazione: Raffaello Causa (1970), riferendoli alla fase matura del pittore, dichiarò d’ignorare se e dove essi fossero stati “sviluppati in grande”. Ma tale indefinitezza può dirsi ab antiquo, generata cioè dal primo degli inventari demuriani al Pio Monte, quello di Spadetta, dell’agosto del 1782, dove i quadretti sono peraltro appaiati (“il primo rappresenta Santo Stefano, il secondo un Vescovo”). Un po’ di più sorprende che di lì a breve Francesco Palumbo, e poi Pietro Bardellino e Fedele Fischetti, tutti pittori, nei loro inventari non abbiano aggiustato le cose, tradendo così un qualche difetto di conoscenza del ciclo ai Santi Severino e Sossio nella sua completezza. Comunque sia, la confusione iconografica dovrebbe spiegarsi nel modo più semplice, dopo che si era perduto il contatto col contesto d’appartenenza: così che, in luogo del martire san Sossio, il protomartire santo Stefano dové apparire la classica lectio facilior (dati, del resto, i comuni attributi del sacrificio per la fede, come la palma), mentre nel caso di san Severino bastarono le tradizionali insegne episcopali della mitra e del bacolo per scorgervi l’aspetto di un vescovo indistinto. Né va meglio in genere, per le stesse ragioni, negli inventari ottocenteschi del Pio Monte: nell’inventario La Volpe, Guerra (1845) San Severino è scambiato per San Gennaro, mentre nell’inventario Simonetti (1851) San Sossio è scambiato per San Lorenzo e San Severino per San Nicola. Di Mario Alberto Pavone (2014) è uno studio sull’iconografia di san Sossio nella pittura napoletana del Sei e Settecento. La sua immagine è strettamente legata a quella di san Gennaro, con cui Sossio, giovane diacono di Miseno, condivise il martirio nella Solfatara di Pozzuoli al principio del IV secolo, sotto Diocleziano, finendo decapitato. Sua peculiarità iconografica è una fiammella sulla testa (simile a quella calata sugli apostoli il giorno di Pentecoste), in ricordo della visione che ne ebbe Gennaro, durante la celebrazione di una messa, quando Sossio leggeva il Vangelo. È così che De Mura lo rappresenta; e fu senz’altro per tale caratteristica che esso venne correttamente individuato nell’inventario Diana del 1802. 

De Mura studia le due figure – lo stesso giorno, si direbbe, e poco manca insieme sul medesimo cavalletto – quasi in contrapposto, assise su massi e riccamente ammantate, isolate contro un vago sfondo di paesaggio. La tavolozza è schiarita e preannuncia nel piccolo l’ora meridiana e luminosa degli affreschi. 

Infine, quando dall’atelier dell’artista si passi alla destinazione pubblica del suo lavoro, è da rilevare la presenza nella chiesa, proprio in mezzo ai due “spicoli” ospitanti San Severino e San Sossio, di un’iscrizione recante la data dell’aprile del 1740, con cui la comunità monastica intese celebrare la memoria dell’impresa, strutturale prim’ancora che pittorica, della copertura voltata del tempio, pericolante solo pochi anni prima e appunto rifatta per intero. L’iscrizione, da sempre sfuggita (almeno così pare) all’erudizione e alla periegetica partenopea, e del resto non ben visibile in alcune condizioni di luce, è la seguente: huiusce templi / fornicem / prӕgrandi pondere jam dehiscentem / ex integro refecerunt / abbas et monachi / men[se] aprilis a[nno] d[omini] mdccxxxx (Russo 2017). Riferimento che contribuisce pure a precisare il tempo d’ultimazione del ciclo d’affreschi, non più tardi della primavera di quell’anno. [Augusto Russo] 

Bibliografia*
d’Engenio Caracciolo 1623, p. 321; De Dominici 1742-1745, III (1745), p. 699; Ceci 1933c, pp. 13-14; Causa 1970, p. 113, nn. 117-118, figg. 39-40; Leonetti Rodinò 1975, p. 22, nn. 72, 74; Pessolano 1977; Pessolano 1978; N. Spinosa in Civiltà del ’700 1979-1980, I (1979), p. 194, n. 89; Spinosa 1986, pp. 157, 160, n. 252; Nolta 1989, pp. 93-94; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n (ma 19); Capobianco 1997, p. 67; Pavone 1997, p. 55; Guida rapida 2003, p. 32; Gazzara 2008a, p. 175; Gazzara 2008b, p. 223; Leonetti Rodinò 2012, p. 91; Pavone 2014, pp. 19-20, passim; Russo 2017, pp. 132, 139, 150-152; Lofano 2019, p. 198. 

Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 12v (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 13v (Appendice II, 304, s.n.); Inv. [Venuto 1783?], c. 2r (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 8v (Appendice II, 307, nn. 138-139); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 5v (Appendice II, 308, nn. 138-139); inv. Diana 1802, cc. 5v, 6r (Appendice II, 309, nn. 46, 50); inv. La Volpe, Guerra 1845, c. 29r (Appendice II, 311, nn. 46, 50); inv. Simonetti 1851, c. 15v (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, c. 2r (Appendice II, 315, nn. 46, 50); Elenco de’ quadri 1905, nn. 72- 73, p. n.n. (ma 4); catalogazione 1925, n. 7; catalogazione post 1933, n. 106. 

Restauri*
Tatafiore 2005; Tatafiore 2006.

Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. nn. III.1.103, III.1.104, pp. 460-462 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/san-severino-e-san-sossio/).

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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.