Sant’Antonio di Padova col Bambino

Sant’Antonio di Padova col Bambino
1720 circa
olio su tela, cm 80 x 68
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782)
inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 113; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 113; inv. Diana 1802: 124; inv. 2009-2010: 73; scheda OA: 15/00409904 

Questo quadro – opera finita e autonoma – appartiene a un giovane De Mura, ancor impregnato del magistero di Francesco Solimena e della pratica con lui. Raffaello Causa (1970) lo associò, tra le opere del Pio Monte, al bozzetto con la Madonna delle Grazie e i santi Giovanni Battista e Rosa da Lima (cat. III.1.89), parimenti degno della formazione e degli inizi del pittore. Eppure – come scrisse lo studioso per entrambi i numeri – “già la superficie si fa compiaciutamente polita e tende alla compattezza d’una materia translucida, già i segni nuovi d’una personalità in fieri […] si avvertono chiari ed inequivocabili”. Idealmente l’abbinamento resta opportuno, non solo per la prossimità formale dei pezzi, ma anche perché ci testimonia in via esemplare, rispetto ai temi sacri, la produzione sia di dipinti d’altare che di quadri da camera per la devozione privata. 

La mancanza di dati esterni (difficilmente eludibile, considerata la natura domestica del quadro) rende difficile pronunciarsi su una datazione precisa. Vincenzo Rizzo (1978), nella propria ricostruzione della giovinezza di De Mura, ha indicato il 1715-1716, una cronologia piuttosto alta, e relativa a una fase precoce che, allo stato attuale delle conoscenze, permane in certi aspetti un po’ nebulosa. Al periodo spetterebbe pure l’Immacolata Concezione oggi nella sacrestia del Divino Amore a Napoli. Dello studioso è altresì un tentativo di lettura ecfrastica del dipinto in esame, giudicato un saggio anticipatore di quella délicatesse, d’arte e di sentimento, tipica del linguaggio demuriano, e per cui si è evocato il precedente di modelli della pittura napoletana seicentesca di tendenza più raffinata (segnatamente Bernardo Cavallino; cfr. pure Rizzo 1986). 

Si deve ricordare, d’altro canto, che lo studioso poteva ancor basare le sue osservazioni sulla conoscenza diretta di un’opera probabilmente cruciale per il primissimo De Mura, ossia la Crocifissione con san Giovanni Evangelista già in San Gerolamo delle Monache a Napoli (rubata post dicembre 1986; cfr. Furti d’arte [1996]). Bernardo De Dominici, è noto, ne fa menzione in riferimento alla prima prova in pubblico del pittore, a suo dire diciassettenne. Allora, verso il 1713, De Mura doveva essere già approdato alla scuola di Solimena (sempre a detta del biografo, ciò avvenne circa il 1708), crescendovi e diventandone poi l’alfiere che conosciamo; eppure quel Crocifisso, secondo Rizzo (1978), avrebbe recato memoria del precedente, breve tirocinio del giovane presso Domenico Viola, risultando ispirato alla maniera in specie di Mattia Preti, col suo rigurgito di ‘tenebrismo’, cui Viola per l’appunto si agganciava. Se ciò oggi non appare più dimostrabile con immediatezza, il richiamo alla locale tradizione seicentesca, anche per opere verosimilmente successive a quella del presunto esordio, è stato condiviso, ad esempio, da David Nolta (1987), secondo cui il nostro Sant’Antonio di Padova e la succitata Madonna delle Grazie “were certainly painted in the studio of Solimena with Preti’s example ever in mind”. 

In realtà piccolo cimento di comunione solimenesca schietta (frutto di “esercitazioni”: Fittipaldi 1981), che possiede al contempo un calore di svolgimento proprio, il Sant’Antonio è un lavoro scolastico nel senso non deteriore dell’aggettivo, di chi si pone innanzi al maestro partendo dal suo stesso alfabeto e fors’anche dai suoi stessi modelli pittorici di studio. C’è un velo d’intimità nel viso per metà ombreggiato del santo, e c’è un filo nuovo di grazia che sveltisce il Bambino. Il fondo scuro – significativamente più buio e fitto di quello, ad esempio, del ritratto di Francesco de Geronimo, pure al Pio Monte e spettante alla maturità piena di De Mura (cat. III.1.117) – contribuisce a un risalto pressoché móndo, e tuttavia l’impianto di disegno e di lume è reso umano e naturale dalla morbidezza sapiente del modellato, soffuso d’ombre tenui (ombre che si fanno più cariche nei panni), mentre il rossore delle gote sparge e tinge sugli incarnati, per un effetto come di trucco, ovvero come spruzzi di mondanità, con modi pressoché caratteristici per le figure di lui. 

De Dominici (1742-1745) scrive che un De Mura poco più che fanciullo, e studioso degli originali di Solimena, faceva meraviglie a copiare, per esempio, “una mezza figura d’una Beata Vergine col Bambino e san Giovannino senza dare nel secco, ed unir bene le tinte con pastosità e dolcezza, avendo adempito alla parte del disegno, e massimamente nelle mani che son ben disegnate e ben dipinte. Lo stesso Solimena ne gioiva nel vedere i disegni del suo novello discepolo sì ben condotti con pulizia e morbidezza, senza que’ tagli ne’ quali inciampano per lo più i scolari nel copiare le pitture in disegno”. Un passo che, compresa la patina topica, potrebbe attagliarsi non meno al quadro qui discusso.

Tra le varie repliche del nostro Sant’Antonio che dovettero e devono esistere e circolare, un’altra versione pressoché identica, ma più piccola (cm 63 x 50) e di qualità almeno in apparenza minore, è passata di recente presso la casa d’aste Cambi a Genova (12 giugno 2019, lotto 304). [Augusto Russo] 

Bibliografia*
De Dominici 1742–1745, III (1745), p. 694; Ceci 1933c, p. 12; Causa 1970, pp. 71, 108, n. 96, fig. 29; Leonetti Rodinò 1975, p. 23, n. 91; Rizzo 1978, pp. 94–95; Fittipaldi 1981, pp. 129–130; Nyerges 1981, p. 148, fig. 98; Rizzo 1986, p. 114, fig. 2, e p. 126 nota 2; Nolta 1987, p. 252; Rizzo 1990a, p. 675; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 9); Furti d’arte [1996], p. 29; Guida rapida 2003, p. 33; Gazzara 2008a, p. 175; Gazzara 2008b, p. 225; Leonetti Rodinò 2012, p. 91; Leonetti Rodinò 2016, p. 69; Lofano 2019, p. 196.

Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, c. 8v (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, c. 11r (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?], c. 4r (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, c. 7r (Appendice II, 307, n. 113); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, c. 4v (Appendice II, 308, n. 113); inv. Diana 1802, c. 11r (Appendice II, 309, n. 124); inv. Simonetti 1851, c. 6r (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, c. 2v (Appendice II, 315, n. 124); Elenco de’ quadri 1905, n. 110, p. n.n. (ma 7); catalogazione 1925, n. 22; catalogazione post 1933, n. 38. 

Restauri*
Liguori 1956b; Piezzo 2006.

Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. n. III.1.88, pp. 435-436 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/schede-singola-opera/santantonio-di-padova-col-bambino/).

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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.