Visitazione
1747-1750
olio su tela, cm 177 x 103
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 67; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 67; inv. Diana 1802: 67; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 10; scheda OA: 15/00409890
Ultima Cena
1747-1750
olio su tela, cm 182 x 107
provenienza: Napoli, eredità Francesco De Mura (1782) inv. Spadetta 1782: s.n.; inv. Palumbo 1782: s.n.; inv. [Venuto 1783?]: s.n.; inv. Fischetti, Bardellino I 1783: 38; inv. Fischetti, Bardellino II 1783: 38; inv. Diana 1802: 146; inv. Simonetti 1851: s.n.; inv. 2009-2010: 7; scheda OA: 15/00409895
Questa coppia di bozzetti, di misure pressappoco uguali, si riferisce alle due vaste pale d’altare poste alle testate del transetto nella chiesa della Casa della Santissima Annunziata a Capua, ovvero dell’Ave Gratia Plena (AGP), un tempo importante istituzione laica a scopo benefico e assistenziale (sull’edificio: Granata 1766; Giorgi 1990). Con ciò Raffaello Causa (1970) emendò la svista di Giuseppe Ceci (1933c), il quale aveva stranamente negato la presenza di opere di De Mura in quella chiesa e, forse sviato da un’errata indicazione di misure riportata da Mario Morelli (1910), aveva scambiato il bozzetto della Visitazione di Capua con quello, peraltro di formato orizzontale (a differenza dei due in esame, sviluppati in senso verticale), pure pervenuto al Pio Monte e poi acquistato dallo Stato italiano nel 1907 per la pinacoteca dell’allora Museo Nazionale di Napoli (dal 1957 nelle raccolte di Capodimonte: N. Spinosa in Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVIII secolo 2010). Quest’altra Visitazione (fig. 1), dal 1967 in sottoconsegna alla Pinacoteca Provinciale di Bari (L. Rocco in La Pinacoteca Provinciale di Bari 1998), è precisata, in alcuni degli inventari demuriani al Pio Monte, quale la “macchia” di un dipinto fatto a Torino, peraltro mai rintracciato (sempre che l’indicazione non sia dovuta a una svista dell’estensore). D’altro canto, quanto ai bozzetti in esame, ancorché per la sola Visitazione, il riferimento all’Annunziata di Capua è un dato acquisito sin dal primo di tali inventari, quello di Spadetta (1782); mentre solo nell’inventario Simonetti del 1851 i due quadri vengono finalmente accoppiati. In un interno di pulita architettura le due pale in questione, circondate da cornici di stucco, sono parte di un ciclo che culmina nell’immensa tela all’altar maggiore, raffigurante l’Annunciazione. Si tratta di opere ben rappresentative della produzione demuriana verso la metà del Settecento, quando il maestro (invero già da anni) doveva capeggiare ed essere egli stesso una vera ‘fabbrica’ di pittura. Su questo importante lavoro capuano – che tuttavia non sembra tra i più celebrati di De Mura negli studi – esiste una cospicua documentazione d’archivio. Il 23 giugno 1747 il governo della Real Casa Ave Gratia Plena di Capua si riuniva per deliberare la commessa dei dipinti destinati alla chiesa, già interessata (con l’annesso conservatorio e ospedale) da rinnovamenti: sin da due anni addietro, e con legittima mira, la scelta era andata su De Mura, “celebre pittore della città di Napoli, le di cui opre sono quelle che si hanno in maggior preggio per la sua ben nota virtù, e tra li primi della sua professione” (il documento è riportato per intero in Russo 2017). Tre giorni dopo, in casa De Mura a Napoli, i committenti e il pittore formalizzarono l’accordo, tramite il notaio Antonio Tarallo di Capua, che riversò nel rogito, pressoché alla lettera, buona parte della relazione della precedente assemblea (Pavone 1997). La stipula prevedeva l’esecuzione, in blocco, di ben undici tele: una per l’altar maggiore, due per la crociera – quelle che qui ci interessano – e otto per le cappelle minori; ma De Mura portò a termine solo le prime tre, mentre le restanti passarono negli anni seguenti ad altri affermati pittori, tra cui Sebastiano Conca e Paolo de Majo (Pavone 1997; per una schedatura del ciclo: Pane, Filangieri 1994). D’ogni quadro si specificavano i soggetti previsti: e a tal proposito sappiamo che in un primo momento, per i “due cappelloni sotto la cupola”, oltre a una “Cena di Nostro Signore Giesù Cristo”, era stato richiesto uno “Sponsalitio della Beata Vergine col glorioso patriarca san Gioseppe”, soggetto, quest’ultimo, poi convertito in corso d’opera nella Visitazione che conosciamo. I due dipinti dovevano misurare circa 6 metri d’altezza e 4 di larghezza, dato eloquente riguardo all’ambizione murale delle raffigurazioni. Il pittore avrebbe dovuto consegnarli entro un anno e mezzo dalla stipula, dopo aver impiegato i primi sei mesi a dipingere l’Annunciazione. I costi per chi ingaggiava De Mura non erano piccoli: 800 ducati per il dipinto principale, 1200 complessivi per gli altri due (al netto del “rilascio”, cioè del ribasso praticato sul prezzo iniziale dal pittore per la sua devozione all’AGP, come sappiamo dal succitato atto notarile). Detto di questi accordi, a monte, sono poi conosciute, a valle, alcune polizze di pagamento: l’Annunciazione risulta saldata entro il 1748 (Pavone 1997), mentre per le tele destinate alla crociera c’è un pagamento ad acconto nel settembre del 1750 (Rizzo 1980), tempo presumibilmente non distante da quello di conclusione del lavoro. In una fonte locale, del resto, nel 1750 la chiesa è detta “ora per lo fervente zelo de’ presenti governatori […] di pregevolissime dipinture arricchita” (Di Capua Capece 1750). E – fatto per noi tanto più attraente – tra i primissimi testimoni dei nuovi quadri c’è un viaggiatore straniero d’eccezione quale Charles-Nicolas Cochin, che si diffonde soprattutto nella descrizione dell’Annunciazione, nel suo celebre Voyage d’Italie (1758: cfr. l’edizione curata da Michel 1991). De Mura, tra l’altro, veniva dall’impegno in Santa Chiara a Napoli, i cui dipinti, commissionati a partire dal 1745, e bruciati nel 1943 (cfr. in sintesi Spinosa 1986), dovettero essere decisivi per quelli appena seguenti dell’AGP, nella messa a punto di uno stile grandioso su tele d’ampio formato. Su tale scorta, nelle composizioni capuane la visione del maestro si arricchisce, quasi per un’indole adorna, ma mai meramente decorativa, e gli episodi religiosi si effondono in un’atmosfera da palcoscenico, gremito e profondo, e non privo di dettagli d’ambiente o spunti di racconto. Soprattutto quella dell’Ultima Cena è un’immagine sfarzosa, lussureggiante, come dimostra già in piccolo il bozzetto al Pio Monte: il gusto teatrale è sin trop1 po qualificante nel drappeggio da sipario e nell’artificio luministico della lampada che cala sulla scena. Si è suggerito che De Mura possa aver tenuto presente l’Ultima Cena del refettorio del convento di San Francesco ad Assisi (Barroero 1992), opera già creduta di Solimena e ora riferita alla bottega (1717; la si è attribuita al giovane Nicola Maria Rossi: N. Spinosa in Francesco Solimena 2018). Ma per lo schema della composizione si suggerisce qui, piuttosto, un confronto, sia pur cauto, col quadro di medesimo soggetto, di Charles-André van Loo (1732), nella chiesa di Santa Croce a Torino, città in cui De Mura, è noto, era stato nel 1741-1743 (lo si veda in Ferrari 2016). Nella Visitazione il respiro e il passo sono più moderati e classici. Ma complessivamente c’è in queste scene un condensato di tutta la tipicità, la riconoscibilità, tra creazione e mestiere, dell’universo di De Mura in quegli anni. Non per nulla le nostre vanno annoverate tra le invenzioni più fortunate dell’artista, e più utilizzate e seguite dalla scuola, in una quantità di riproposizioni, repliche più o meno variate, o come riferimenti per l’impaginazione di scene con quei soggetti, testimoniando uno dei momenti decisivi della diffusione e della didattica demuriana (discorso che vale altrettanto, se non di più, per l’Annunciazione). Dell’Ultima Cena, ad esempio, è noto un altro esemplare, ritenuto una replica del nostro bozzetto, con le stesse misure, e conservato nel Museo dell’Abbazia benedettina di Montserrat in Catalogna (Urrea Fernández 1977; Barroero 1992). L’assetto compositivo e l’idea del lume si ritrovano poi, in un arrangiamento orizzontale, nella gran tela per l’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento nella Cattedrale di Monopoli (1755: cfr. Pasculli Ferrara 1981, che si richiama all’osservazione di Rizzo 1980, circa gli effetti di luce ricercati da De Mura in specie dopo l’esperienza torinese e in genere nella maturità). Quanto alla divulgazione, anche seriore, sul territorio, appannaggio di allievi, epigoni o meri copisti a varie latitudini, basti un paio d’esempi, tra i tanti possibili: l’Ultima Cena di Andrea Giannico, recante una data abbastanza precoce, 1751, per San Lorenzo a Laterza (Pasculli Ferrara 1981); la grande tela, sempre con l’Ultima Cena, firmata da Giacinto Diano nel 1770 all’altar maggiore nella chiesa del Corpus Domini a Gragnano. La fortuna della Visitazione, dal canto suo, non fu meno forte (e al riguardo si rimanda all’altro bozzetto con tale soggetto conservato nel Pio Monte: cfr. cat. III.1.113). Infine si segnala che l’iconografia dell’Ultima Cena demuriana – principalmente nella versione di Monopoli, ma passando per quella di Capua – è stata oggetto di un intervento assai recente di Marcello Fagiolo (2020): la sua lettura verte in particolare sulle fonti di luce divina effusa nella scena e sulla simbologia connessa al sacrificio eucaristico. [Augusto Russo]
Bibliografia*
Di Capua Capece 1750, p. 76; Cochin 1758 [1991], p. 140; Granata 1766, I, pp. 320-323; Morelli 1910, p. 295; Ceci 1933c, pp. 8, 10 nota 3; La mostra della pittura napoletana 1938, p. 330, n. 15 (questa, o l’altra Visitazione cat. III.1.113); Causa 1970, pp. 114-115, nn. 123-124, tav. XLIV e fig. 43; Leonetti Rodinò 1975, p. 17, nn. 7-8; Urrea Fernández 1977, p. 342; Rizzo 1980, p. 35; Rizzo 1980, pp. 30, 42 doc. 5; Pasculli Ferrara 1981, pp. 54-55, 57, e figg. 6, 8; Spinosa 1986, p. 161, n. 258; Giorgi 1990; Il Pio Monte della Misericordia 1991, p. n.n. (ma 7); Barroero 1992, pp. 96-97; Pane, Filangieri 1994, II, pp. 475-478; Capobianco 1997, p. 49; Pavone 1997, pp. 59, 189, figg. 95-96, pp. 189, 502-506 doc. XXXI.30, e p. 509 doc. XXXI.36; L. Rocco in La Pinacoteca Provinciale di Bari 1998, pp. 54-55, n. 40; Guida rapida 2003, p. 18; Spinosa 2003b (ill. a pp. 204-206); Pacelli 2007, pp. 223-232, 227-228, fig. 29; Gazzara 2008a, p. 173; Gazzara 2008b, pp. 226, 228; Spinosa 2009, p. 39; N. Spinosa in Museo e Gallerie Nazionali di Capodimonte. Dipinti del XVIII secolo 2010, p. 58, n. 56; Leonetti Rodinò 2012, pp. 56, 91; Ferrari 2016, p. 36, fig. 13; Leonetti Rodinò 2016, p. 70; Russo 2017, pp. 190, 200-201; Borla 2018, p. 219; N. Spinosa in Francesco Solimena 2018, I, p. 602, n. D4; Lofano 2019, pp. 196-197; Fagiolo 2020.
Atti e documenti*
inv. Spadetta 1782, cc. 10v-11r, 11v (Appendice II, 303, s.n.); inv. Palumbo 1782, cc. 4r, 6r (Appendice II, 304, s.n.); inv. [Venuto 1783?]: cc. 5r, 6r (Appendice II, 305, s.n.); inv. Fischetti, Bardellino I 1783, cc. 2v-3r, 4v (Appendice II, 307, nn. 38, 67); inv. Fischetti, Bardellino II 1783, cc. 2r, 3r (Appendice II, 308, nn. 38, 67); inv. Diana 1802, cc. 12v, 16v (Appendice II, 309, nn. 146, 207); inv. Simonetti 1851, c. 5v (Appendice II, 314, s.n.); Quadri rimasti invenduti 1884, cc. 2v, 3v (Appendice II, 315, nn. 146, 207); Elenco de’ quadri 1905, nn. 80, 81, p. n.n. (ma 5); catalogazione 1925, nn. 4, 77; catalogazione post 1933, nn. 57-58.
Mostre*
La mostra della pittura napoletana 1938 (questa, o l’altra Visitazione cat. III.1.113).
Restauri*
Russo 2005-2006.
Scheda tratta da: P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020, vol. II, cat. nn. III.1.111, III.1.112, pp. 475-478 (consultabile online alla pagina https://www.francescodemura.unina.it/le-schede-delle-opere/visitazione-e-ultima-cena/).
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*I rinvii alla bibliografia, ai documenti e ai restauri possono essere sciolti consultando le relative sezioni in P. D’Alconzo, L.P. Rocco di Torrepadula (a cura di), Pio Monte della Misericordia. Il patrimonio storico e artistico, Napoli, Arte’m, 2020.